La memoria trasfigura

Ricordare è un'operazione difficile. Anche la memoria va allenata, altrimenti si infiacchisce. Le celebrazioni che dovrebbero salvare dall'oblio spesso invece hanno solo la capacità di rimandare parole vuote e retoriche. Questo rischio c'è nelle celebrazioni religiose, ma accade sopratutto per le celebrazioni civli. L'IC Munari, la mia scuola, ha organizzato una bel momento per far vivere la memoria del XXV Aprile invitando anche Adelmo Cervi (lo vedete nella foto attorniato da genitori, docenti, autorità, alunni e alunne). Non voglio fare il resoconto della giornata (se siete interessati guardate qui l'articolo sul sito della scuola e il video preparato da Shareradio). Voglio condividere con voi una riflessione che mi è venuta ascoltando Adelmo. Questo signore dal piglio deciso, col pugno sinistro alzato e il faccione del Che sul petto, con un cuore grande come una montagna e una voglia allegra e seria di parlare a tutti, mi è sembrato un pezzo di storia. Mi ha fatto tenerezza. Mi sono chiesto: che senso ha oggi per noi celebrare? Facciamo fatica come italiani a ricordare cosa ci tiene uniti. Il rito non può essere una ripetizione sterile, ma una memoria trasfigurante. Deve avere la forza di riplasmare la coscienza presente, solo così si ha il giusto rapporto con la tradizione. Non succubi, non estranei. Adelmo ci ha messo in contatto con le origini del nostro paese. Se a qualcosa bisogna resistere oggi, secondo me, è alla tentazione di portare avanti le divisioni del passato pensando che siano necessarie. Oggi abbiamo il compito di costruire un'Italia migliore di quella divisa in due, tra destra e sinistra, tra  cattolici e comunisti. Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi se non vogliamo farci travolgere dal pessimismo che è ovunque.